In occasione dei 60 anni dalla morte e i 90 dalla nascita di Piero Manzoni è impossibile non ricordare la figura di uno dei più grandi artisti italiani apparsi nel clima stimolante degli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso. Demis Martinelli e Rosalia Pasqualino di Marineo hanno curato “Relazioni (im)possibili. Il fil rouge da Piero Manzoni a oggi”, mostra al Museo della Stampa, organizzata dalla Fondazione Piero Manzoni di Milano e la Pro loco APS a Soncino (CR), fino all’1 ottobre, per mettere in luce la relazione esistente tra l’opera manzoniana e quella di diversi artisti delle generazioni più recenti che sono stati invitati a esporre insieme a lui.
Il lavoro di Giovanni Morbin, diplomatosi a Venezia con Emilio Vedova, consiste nella costruzione di oggetti funzionali a cui conferisce il valore di strumenti attivi per le opere performative che si appalesano in ibridazioni tra l’artista e l’oggetto della sua rappresentazione. La sua azione si mette in relazione con Manzoni, artista della “Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte”, il celebre evento durante il quale siglò con la propria impronta una serie di uova sode e le consegnò ai visitatori per essere mangiate entrando in una sorta di comunione profana con l’artista stesso. A Soncino, Morbin ha riproposto la “Quarta settimana, performance” in cui ha messo in atto uno scambio interattivo, fisico e simbolico tra se stesso e gli intervenuti. Dopo aver realizzato il calco del suo volto lo ha fatto panificare in modo da creare pani con la forma di teste viste di fronte e con la sua faccia, poi adagiate in una cesta e distribuite al pubblico per essere mangiate. Nessuna richiesta di denaro, nessuno scambio di volgari monete, solo la condivisione, anzi la consumazione gratuita dell’opera dell’artista che in fondo non aspetta altro che le sue cre-azioni siano divorate, mangiate, consumate e non solo con gl’occhi. Così Morbin, come Manzoni, concede se stesso, il suo volto, la sua opera in nome dell’arte alimentare: un’arte tutta da mangiare.