In rassegna 49 opere suddivise in 4 sezioni
Una delle mostre più attese dell’anno, e a mio avviso una delle più riuscite, ha aperto i battenti nella sede milanese di Fondazione Prada: “Pino Pascali”, a cura di Mark Godfrey.
L’ultima grande esposizione di uno degli autori italiani più precoci e geniali si è tenuta 4 anni fa a Venezia in occasione della Biennale e, nuovamente in corrispondenza di questa, si ritorna a puntare l’attenzione sull’artista scomparso a nemmeno 33 anni. Anche dal punto di vista commerciale le sue aggiudicazioni d’asta risultano in salita e questo grazie all’instancabile lavoro di studio e ricerca promosso dalla Fondazione che porta il suo nome.
La rassegna occupa 3 edifici ed è suddivisa in 4 sezioni dove si analizzano, oltre alle sue 49 opere, i rapporti fra la produzione di Pascali e quella dei colleghi.
NEL PERCORSO ESPOSITIVO RICREATE 5 MOSTRE STORICHE
Incontriamo a inizio percorso una sala in cui vengono ricreati 5 allestimenti di mostre storiche – dalla Galleria la Tartaruga (1965) alla Galleria Gian Enzo Sperone (1966) passando per le due mostre alla Galleria L’Attico (1966-1968). Comprendiamo, fin da questa prima sezione, come l’allestimento sia per Pascali non soltanto l’occasione per costruire una rassegna in cui mettere insieme tutte le opere nuove, ma un modo per dare vita ad ambienti immaginifici. Per esempio, nel reenactment dell’esposizione da Gian Enzo Sperone sono radunate tutte le sculture con le armi, dalle mitragliatrici alle contraeree e dai cannoni ai missili, e la sensazione è quella di essere in una trincea e sentire il frastuono di spari ed esplosioni.
FOCUS ANCHE SULLE OPERE ESPOSTE ALLA BIENNALE DI VENEZIA DEL 1968, QUANDO VINSE IL LEONE D'ORO
Salendo al secondo piano troviamo una sezione sulla Biennale del 1968, edizione il cui leone d’oro venne assegnato proprio a Pino Pascali scomparso appena il mese precedente. Si trattava del primo caso di premiazione post-mortem nella storia della rassegna veneziana.
Segue un’analisi approfondita dei materiali impiegati nelle sculture e vengono compiuti continui parallelismi, anche se solamente utilizzando documenti bibliografici, con gli artisti che negli stessi anni si servivano dei medesimi materiali. La terza sezione si occupa di proporre alcune tra le opere più significative a confronto con le fotografie di Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna che ritraggono Pascali mentre interagisce con le sue opere.
FOTOGRAFIE DI CLAUDIO ABATE, UGO MULAS E ANDREA TAVERNA LO RITRAGGONO MENTRE INTERAGISCE CON LE SUE OPERE
Vediamo l’artista pugliese che si accuccia sotto la Vedova Blu, che si sdraia accanto ai Bachi da setola e che saltella in mezzo ai 32 mq di mare circa della Gnam di Roma. Queste foto non vogliono essere dei libretti di istruzioni che indicano ai visitatori le pose da assumere davanti alle sculture, ma soltanto un suggerimento su come poter interagire in maniera personale e originale. Non passa inosservata l’elegante scelta curatoriale di sospendere i testi introduttivi solo in questa sezione proprio per favorire la libera interpretazione.
La mostra si conclude con una grande stanza in cui vengono messi insieme i migliori interpreti di quegli anni ’60 sintonizzati sullo stesso linguaggio di Pascali come Mario Ceroli, Agostino Bonalumi, Piero Gilardi, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis e Luciano Fabbro.
L’esposizione sarà visitabile fino al 23 settembre.