Scomparso ieri, a 81 anni, Roberto Calasso, patron di Adelphi
Con la scomparsa di Roberto Calasso l’editoria italiana perde uno dei più sensibili artefici della carta stampata. E, forse, l’ultimo grande editore italiano.
Calasso nacque il 30 maggio del 1941 a Firenze, laureandosi in Letteratura inglese con il grande Mario Pratz. Tuttavia, la sua attrazione istintiva e determinante per la ricerca e per le scienze umanistiche lo accompagnava già da tempo: merito del padre giurista, appassionato studioso di testi stampati fra il Cinque e il Settecento, e del nonno Ernesto Codignola, filosofo e pedagogista che diresse a Firenze la casa editrice veneta La Nuova Italia.
Sulla scia di tali stimoli, Calasso sviluppò una lettura onnivora e uno spirito critico di grande sensibilità già a tredici anni. A ventuno mise a punto il programma per la creazione di una nuova casa editrice, affiancato nell’avventura da Bobi Bazlen, Roberto Olivetti e Luciano Foà (ex segretario generale di Einaudi). Era il 1962 e a Milano da questo sodalizio nasceva Adelphi, rappresentata appieno dal suo inconfondibile logo: una porta socchiusa su un universo di significati.
Da allora il nome di Roberto Calasso sarebbe rimasto legato ad Adelphi per molti anni: da direttore editoriale nel 1971 a presidente nel ’99, acquisì infine la casa editrice nel 2015. Di pari passo andò crescendo il suo mito di scrittore e saggista, traduttore ed editore eccelso in Italia e all’estero. Fra i numerosi premi, possiamo ricordare il 26° Prix Chateaubriand assegnatogli nel 2012 per “La Folie Baudelaire” (ed. Gallimard). Questo riconoscimento fu importante poiché per la prima volta veniva conferito a un autore non di lingua francese. Come editore, Calasso fu eletto “Literary Lion” nel 1993 a New York e nel 2004 ricevette il “Reconocimiento al Mérito Editorial” alla Feria Internacional del libro de Guadalajara.
Sin dai primi anni, il catalogo di Adelphi ha accolto una varietà di testi capaci di raccontare il forte interesse di Calasso per la mitologia classica e l’Oriente, così come per la letteratura mitteleuropea. A questa in particolare, Calasso si avvicinò anche in ambito linguistico dando alle stampe ricchissime traduzioni in lingua tedesca. In più occasioni il suo intuito di raffinato editore ebbe il merito di rilanciare autori di difficile successo in Italia, contribuendo così alla loro diffusione internazionale: Joseph Roth, Milan Kundera ed Herman Hesse, il cui Siddharta pubblicato per la prima volta nel novembre 1975, si pone fra i dieci titoli più venduti nella storia di Adelphi. Non possiamo non citare anche il tristemente noto Guido Morselli, i cui scritti sono stati oggetto di rivalutazione a distanza di decenni, e interamente pubblicati postumi proprio per merito di Adelphi.
Del Calasso autore e saggista va senz’altro ricordato l’immenso progetto editoriale che prese avvio nel 1983 e che riunisce ben undici volumi per un totale di quasi 5.000 pagine. La raccolta abbraccia più materie in ambito di Storia, Religione, Letteratura, Sociologia, rievocando culture distanti nello spazio e nel tempo: dalla Parigi di Talleyrand e di Baudelaire ai Veda indiani, da Tiepolo a Kafka, dalla geografia biblica ai miti dell’antica Grecia, passando per la storia evolutiva dell’uomo cacciatore.
Un’ “opera unica” e inscindibile, impossibile da categorizzare, originata da un magma di storie, vicende, miti e mitologie, rimandi e corrispondenze attinte dal passato e dal presente, in un ribollire di umanità difficilmente riscontrabile altrove. E qui, sfortunatamente per tutti, ci lascia Calasso: al culmine di un grande discorso aperto, dinamico e fluido, forse -purtroppo- destinato a rimanere inconcluso.
Il passato è da sempre una presenza costante nell’attività di Roberto Calasso, che fino all’ultimo respiro non ha mai smesso di dare valore a ciò che è stato, al “prima”, senza però mai perdere l’occasione per confrontarsi e stimolare riflessioni sul futuro: del libro, dell’editoria, degli strumenti della cultura, del mondo.
Ecco perché non sembra privo di significato l’arrivo in libreria, nel giorno della sua scomparsa, di due sue autobiografie: “Memè Scianca” a proposito della sua infanzia a Firenze, e “Bobi” che racconta la figura di Bazlen, suo amico e compagno di viaggio nella nascita di Adelphi.
E come scrisse nell’epigrafe delle Nozze di Cadmo e Armonia: “Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre.“ Il mito vive e rivive, tra le pagine, nei ricordi, nel grande miracolo che la figura dell’editore perpetra da cinquecento anni e che sopravvive al futuro, non svanisce ma, come tutto, si trasforma.